Michele Zappa, personaggio siloniano afferma:In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo. Questo ognuno lo sa. Poi viene il principe Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del principe. Poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi, nulla. Poi, ancora nulla. Poi, ancora nulla. Poi vengono i cafoni. E si può dire ch’è finito. (dal libro Fontamara) Ignazio Silone
15/10/1944 Ortucchio. Tentata occupazione dell’incolto "appezzamento n. 5" di proprietà del principe Torlonia da parte dei contadini finisce con l'intervento dei carabinieri delle stazioni di Ortucchio e Gioia di Marsi che assieme a quattro guardie campestri, aprono il fuoco. Viene ucciso subito Domenico Spera. Dei cinque feriti gravi, uno morirà in seguito.
LE LOTTE CONTADINE E LA RIFORMA AGRARIA
di Felice Gentile
La seconda guerra mondiale aveva aggravate le condizione economiche dell’Italia: L’economia nazionale era legata all’agricoltura. La forbice tra gli agrari ed i contadini senza terre si era ulteriormente divaricata. Le parole che Ignazio Silone in Fontamara faceva pronunciare dai braccianti agricoli della Marsica erano quanto mai attuali:
“In capo a tutti c’è Dio, padrone del capo a tutti cielo Ognun lo sa . Poi viene il Principe Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del principe. Poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi nulla. Poi ancora nulla. Poi ancora nulla. Poi vengono i cafoni. E si può dire che è finito tutto”
Da queste frasi si evince che il bisogno di giustizia è parte integrante della vita dei Cafoni ed allo stesso modo e parte integrale la speranza che il regno delle necessità abbia un giorno fine.
Sulla base di questo bisogno e di questa speranza i contadini trovano la solidarietà di ampia parte delle popolazioni al di fuori di ogni ideologia e partito politico.
Agli inizi degli anni cinquanta le difficili condizioni di vita di intere fasce della popolazione cominciarono a dar luogo a crescenti forme di insubordinazione sociale.
I braccianti agricoli, gli affittuari chiedevano che gli fossero assegnate le terre che gli agrari non coltivavano o coltivavano male.
Le lotte dei contadini furono condotte dal sindacato, dai partiti politici e da una parte consistente dei parroci in Abruzzo ( in particolare nel Fucino), ma anche in tutte le Regioni italiane a forte
Tradizione agricola.
I contadini senza terra erano consci che l’astensione dal lavoro produceva danni non solo ai padroni, ma anche e soprattutto alla propria capacità di sussistenza. Era necessario manifestare in periodi nei quali il danno alla produzione era minimo.
In Abruzzo si inventò un metodo nuovo: lo sciopero alla rovescio.
Il principe Torlonia e i proprietari terrieri delle provincie di Chieti e Teramo trascuravono di effettuare dell’opere che avrebbero migliorate la produttività dei loro fondi.
Per esempio Torlonia non faceva opera di manutenzione dei canali irrigui del Fucino: Di questi lavori cominciarono ad occuparsi i braccianti agricoli ( I Cafoni), i quali a fine giornata si presentavano ai Palazzi municipali o alle caserme dei carabinieri per farsi segnare le ore di lavoro.
I padroni in qualche modo avrebbero pagato.Lo sciopero iniziò il sei di febbraio nella strada 30 del Fucino, era il sesto anniversario dell’uccisione da parte delle guardie del feudo di Domenico Spera, bracciante di Ortucchiio.
Il 13 e 14 febbraio del 1950 a L’Aquila i sindacati e l’associazione padronali si incontrarono in Prefettura e con l’assistenza e la mediazione del Prefetto raggiunsero un accordo.
L’accordo si sostanziava in tre punti:
A) I lavoratori sarebbero stati pagati per i lavoratori già eseguiti;
B) Torlonia si sarebbe impegnato ad assumere, per proseguire i lavori e per sei giorni, tutti i braccianti;
C) Lo Stato avrebbe ritirato i Carabinieri dal Fucino.
Nei giorni successivi Torlonia fece marcia indietro e non ottemperò agli accordi sottoscritti. I lavoratori scesero in piazza in tutti comuni della Marsica: Nei cortei erano massicciamente rappresentate le donne, le quali avevano formato la Lega delle Donne Marsicane. Nell’adunate era presente la Pupazza , che veniva incendiata al culmine della manifestazione come avviene nelle feste popolari.
Il Governo, ( ministro degli interni era il deputato siciliano Mario Scelba) da una parte fronteggiò in maniera forte i contadini con carabinieri e poliziotti, d’altra parte permise l’intrusione di uomini
vicini ai padroni in contrapposizione dei dimostranti.
Nei scontri vi furono numerosi morti in tutte le regioni del mezzogiorno. Per quanto riguarda l’Abruzzo il 21 marzo furono uccisi a Lentella (Ch) i contadini Nicolantonio Mattia e Cosimo Masciocco.
Il giorno successivo l CGIL indisse lo sciopero generale di protesta per i morti di Lentella ed nella manifestazione di Avezzano venne ucciso Francesco Laboni.
A Celano il 30 aprile del 1950, in quella che forse fu la più grande manifestazione popolare dell’era preindustriale in Abruzzo, furono uccisi i Cafoni Agostino Paris ed Antonio Berardicurti e l’attivista comunista Antonio D’Alessandro.
Naturalmente le lotte contadine ebbero vasta eco nel Paese e dei violenti riscontri in Parlamento.
Nella seduta del 2 aprile della Camera dei Deputati gli onn. Di Vittorio, Calamandrei ; Nenni contrastarono duramente il ministro Scelba e tacciarono i provvedimenti presi come anticostituzionali.
Dobbiamo, però, affermare che anche gran parte della Democrazia Cristiana, forse a rimorchio delle gerarchie ecclesiastiche del Meridione d’Italia e soprattutto dei Cattolici del Veneto, prese coscienza dei gravi problemi delle masse contadine.
Partendo dal riconoscimento delle necessità di una larga parte della popolazione nella D.C iniziò un importante discussione.
Intervennero in diverso modo ed in tempi diversi uomini di primo piano del partito come : La Pira, Lazzati, Bertini, Medici e Fanfani.
Decisiva fu la posizione del ministro dell’Agricoltura on. Antonio Segni
Il 10 OTTOBRE 1950 i contadini senza terra riuscirono a cantare vittoria. Infatti il Consiglio dei Ministri presieduto da Alcide de Gasperi approvò il decreto con il quale si dava attuazione alla Riforma agraria. Il Governo, però, non volle fare una riforma generalizzata, fece delle leggi che intervenivano a livello locale.
Il Fucino fu compreso nel decreto stralcio del 1 marzo del 1951 con il quale fu creato l’Ente per la riforma della Maremma e del Fucino. L’Ente tra gli altri compiti ebbe quello di determinare i lotti da affittare. Un lotto grande poteva essere massimo di quattro ettari, mentre il più piccolo non doveva essere inferiore ad un ettaro. La determinazione di lotti minimi era dettato dai tassi oggettivi di redditività dell’azienda agricola che sul lotto andava ad impiantarsi.
In considerazione della grandezza democrafica della popolazione bracciantile, a molti lavoratori non fu consentito l’accesso al fitto di un fondo, per questi furono costretti ad emigrare in Maremma.
L’Ente doveva occuparsi della manutenzione ordinaria e straordinaria dei canali, delle strade interpoderali e di costruire u villaggio o colonia agricola in località Caruscino.
La legge di riforma agraria fu avversata dagli agrari, da un certo numero di uomini politici locali
a essi legati e da parlamentari di destra: monarchici, missini, liberali, democristiani.
Tra questi c’era il parlamentare di L’Aquila on: Vincenzo Rivera. Questi di professione era agronomo ed apparteneva alla nobiltà terriera, Aveva la capacità tecnico-professionale per esprimere un parere autorevole, parere che, però, poteva essere influenzato dai propri interessi..
L’on Rivera non si limitò ad esprimere un voto contrario, richiamandosi alla conclamata libertà di coscienza (diritto che rivendicò con una lettera a De Gasperi), ma presentò una riforma agraria alternativa. Egli aveva il chiaro intento di distrarre l’attenzione dal progetto del ministro Segni .
Nel mirino della destra vi erano i contratti agrari, che avrebbero cambiato nei decenni successivi il panorama agrario italiano.